
Otranto, artefatti in terracotta
Otranto, tipici artefatti in terracotta
fotografo: Lorebzo Papadia
Passeggiando nel cuore del borgo, per esempio in via Garibaldi, all’interno dei piccoli negozi si possono ammirare particolari oggetti in terracotta, frutto di un lento lavoro rigorosamente artigianale di tintura, decorazione, rifinitura, essiccazione al sole e cottura in fornace. Inoltre, per i curiosi, è interessante inoltre girovagare tra le botteghe dei mosaicisti ubicate sempre nel centro storico. In alcune di esse per le tessere musive, anziché usare la pasta vitrea, si utilizzano il marmo, la roccia, le pietre calcaree, i sassi e i quarzi di sale. Così gli artigiani, armati di martellina e tagliola, creano tessere colorate su un ceppo di legno che poi, con molta pazienza, avvicinano una all’altra dando vita a manufatti d’uso quotidiano. In altri laboratori, altrettanto abili artigiani lavorano il giunco flessuoso e resistente, raccolto sulle sponde dei Laghi Alimini come si faceva un tempo, per produrre cesti, vasi, lampade e grandi soli che vengono considerati un po’ il simbolo della città.
Ma la storia e la cultura di Otranto si basano soprattutto sulla gente di mare e sui prodotti che lo stesso offre. In passato, per i vicoli del centro storico si vedevano reti, canne da pesca e uomini stanchi per le troppe ore alle prese con il duro lavoro della pesca in mare aperto. I pescatori indossavano pantaloni logori che arrotolavano fino al ginocchio, un maglione, un berretto di lana e un panciotto. Mangiavano quello che riuscivano a portare a casa: brodo alla marinara, pesce in umido o arrostito, insaporito con vari aromi ma mai con l’olio, perché sin troppo costoso. Quando poi tornavano a casa senza niente, le donne cucinavano le “scivature”, ossia i piccoli pesciolini usati come esca, avanzati dall’attività del giorno. L’arte della pesca si tramandava da padre in figlio in quanto i pescatori custodivano gelosamente i segreti del mestiere. Per questa gente era molto importante la preghiera; molte quindi le preghiere composte da questi uomini che ancor oggi conservano una forte devozione verso la Madonna dell’Altomare. Spesso, in passato, il sacro si mescolava al profano così i pescatori prima della partenza in mare erano soliti fare dei gesti scaramantici o piccoli riti per allontanare le negatività. Erano così abituati a guardare il cielo e, non raramente, inventavano una serie di massime sulla base delle più comuni credenze popolari. Alcune di queste oggi sono ancora usate: celu russu, o acqua o ientu o frusciu che tradotto significa “cielo rosso porta o pioggia, o vento o fruscìo”; luna tisa, marinaru curcatu, luna curcata, marinaru ‘llerta che tradotto sta a significare: “con la luna splendente non è tempo di pesca”.
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